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Cleverman

Nel continente australiano, le prime vittime del razzismo (nei secoli scorsi mascherato dalla parola “colonizzazione”) sono stati gli Aborigeni, popolazione indigena letteralmente spodestata per far posto ai coloni che arrivavano dal mare.
Immaginiamo ora uno scenario simile, ma con un protagonista leggermente diverso. In Cleverman vediamo che gli emarginati sono chiamati Hairies e hanno le sembianze simile a quelle dei nostri antenati preistorici: lineamenti pronunciati e una folta peluria su tutto il corpo (da cui il nome). Trattati come veri e propri appestati o criminali, vivono in una zona delimitata ed invalicabile e i politici locali senza scrupoli li usano come leva elettorale.

Con delle premesse del genere è facile immaginare il tono e gli elementi cardini di Cleverman: simpatizzeremo subito con gli emarginati, combatteremo con loro per i diritti civili e da subito faremo riferimenti nemmeno troppo velati ad alcuni politici occidentali che fanno dell’odio verso il diverso il fondamento delle proprie campagne elettorali.

Ma in Cleverman non tutto è o bianco o nero. La famiglia West, ad esempio, sembra una normale famiglia come le nostre, se non fosse che ci viene mostrato lo zio Jimmy compiere in riva all’oceano uno strano rito tribale, che sembra a tutti gli effetti un passaggio di testimone verso il nipote Koen, un personaggio ambiguo e per cui sarà molto difficile simpatizzare.

Tradizioni millenarie, razzismo e paranormale sono i tre ingredienti principali che fanno di Cleverman un prodotto tipicamente fantasy ma fin troppo ispirato all’attualità; una serie per nulla leggera che non sembra avere l’appeal giusto per conquistare il pubblico oltreoceano (Cleverman è una serie tv australiana in onda anche negli Stati Uniti sul canale ABC).

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