Sitcom semplice ma divertentissima. I Millers sono la classica famiglia americana i cui figli (adulti e con una vita più o meno stabile) si ritrovano a dover ospitare a tempo indefinito i genitori quando questi decidono di divorziare dopo quarant’anni di matrimonio. Nathan (Will Arnett) vanesio e narcisista, dovrà rivedere tutta la propria vita quando la madre si stabilirà a casa sua portando con sè situazioni imbarazzanti e al limite dell’assurdo mentre la sorella Debbie (Jayma Mays) imparerà a comprendere le eccentricità del trasognato padre. Appuntamento settimanale assolutamente da non perdere.
Sono i primi anni del proibizionismo, la contea di Franklin è chiamata “la più bagnata contea del mondo” (“The Wettest County in The World” è stato uno dei titoli provvisori della pellicola) per via delle moltissime distillerie presenti e del fatto che le forze dell’ordine sono propense a chiudere un occhio. In questo ambiente i tre fratelli Bondurant conducono la loro attività abusiva con la serenità di un paese di campagna. La felice tranquillità della contea viene stravolta dall’arrivo di un agente speciale del proibizionismo che sfruttando questo suo ruolo impone agli “onesti lavoratori” di Franklin di pagare un’onerosa tangente al Procuratore locale. Tutti i contrabbandieri chinano il capo, ma non i fratelli Bondurant che, ormai privi dell’appoggio dei compaesani, sfideranno il Procuratore della Virginia per il dominio del mercato degli alcolici e per la propria libertà. Basato sul romanzo di Matt Bondurant, discendente dei protagonisti, e sceneggiato da Nick Cave, il film è fortemente segnato sia dalla narrazione classica che dalla tensione e violenza di stampo più moderno. Gli attori non sono tra i miei preferiti, ma in questo piccolo capolavoro danno il meglio di sè e spessore al ruolo interpretato. Il film è scorrevole dall’inizio alla fine ed il fatto che gli eventi, sicuramente romanzati, abbiano avuto luogo sul serio lo rende ancora più intrigante.
Scritta da Chris Brancato e diretta da Jose Padilha, Narcos racconta agli avidi amanti del tutto e subito di Netflix la storia del Re della Cocaina, quel Pablo Escobar entrato nella storia come il più importante, proficuo e sanguinario trafficante di droga di tutti i tempi. Probabilmente non sapremo mai se altri, nell’ombra, siano riusciti a superare Escobar in numero di vittime o in soldi accumulati, ma Pablito rimane comunque il primo ad aver avuto mire espansionistiche notevoli, portando il traffico della cocaina oltre i confini della sua Colombia. Costruita una solida rete di corruzione e sudditanza, mantenuta stabile da minacce e sangue, Escobar riesce perfino a far atterrare le sue scorte in America, dove lo spaccio sembra essere un successo, considerato quanto i gringos siano disposti a pagare per una dose.Ma lo spaccio, indipendentemente dalla nazione in cui avviene, comporta sangue e pallottole per la gestione degli angoli delle strade e ospedali pieni di nuove vittime. Non passerà molto tempo che la narcotici si svegli e decida di indagare a fondo. Voce narrante onnipresente lungo tutti i 10 episodi sarà proprio quella di un agente federale, Steve Murphy, che con il suo collega Javier Pena ha fatto della cattura del narcotrafficante la propria missione personale.. La voce di Murphy, in ogni episodio, ci racconterà gli anni ’80 in cui Escobar ha prima costruito e poi gestito il famigerato Cartello di Medellín, descrivendo dettagli ed il contesto storico-culturale in cui corrompere ed uccidere sembrava essere normale, terreno fertile per creare un impero della droga. Grazie ad una superba interpretazione di Wagner Moura, saremo catapultati tra le calde strade della Colombia, imparando l’efficacia della politica di Escobar – plata o plomo – ed ascoltando moltissimi dialoghi in spagnolo, che mettono il sigillo definitivo sul già ottimo lavoro di fotografia e ricostruzione delle atmosfere sudamericane di quel periodo. Un lavoro magistrale che un po’ stona con l’approssimativa caratterizzazione degli uomini che dovremmo celebrare, la polizia, la fazione dei buoni, che invece rimane sempre in ombra. Le loro vicende personali sono nulla in confronto alla personalità e alla vita di Escobar, che occupano tutta la scena.
Imagine you were born in a poor family, in a poor city, in a poor country and by the time you were 28 years old you have so much money you can’t even count it. What do you do? You make your dreams come true. Problem is, nobody can control the dreams they have. Especially if you were Pablo Escobar. Especially if you grew up in Colombia. There’s a reason magical realism was born in Colombia. It’s a country where dreams and reality are conflated… Where, in their heads, people fly as high as Icarus. But even magical realism has its limits. And when you get too close to the sun… Your dreams may melt away.
– Narcos, 1×03
Quando arriva l’estate e con essa (oltre il caldo disumano) arrivano anche una moltitudine di serie da quattro soldi, il vero appassionato/dipendente telefilmico non fa altro che attendere con impazienza crescente il ritorno dell’autunno il quale porterà con sè oltre a nuove stagioni delle serie alle quali è più affezionato, anche una carrellata di nuovi programmi tutti da esplorare. Inutile dire che l’impazienza per questo nuovo prodotto del buon Kurt Sutter era alle stelle, come del resto le aspettative e, quanto le attese sono troppo alte, il tonfo per ritornare alla realtà è ancora più duro. Intendiamoci, The Bastard Executioner ha tutte le premesse per essere una grande serie, il problema giace nella sua esecuzione cinematografica o per meglio dire, nella mancanza totale della stessa. La trama, ambientata nel 14esimo secolo, ruota intorno al protagonista Wilkin Brattle (Lee Jones), ex soldato inglese che dopo una visione simil- mistica in punto di morte, decide di abbandonare il campo di battaglia e darsi alla vita bucolica fin quando questa nuovo pittoresco idillio viene interrotto dallo sterminio del suo villaggio ad opera del barone cattivone di turno, incavolato come una biscia perchè Wilkin congiuntamente ad un gruppo di compagni ha malmenato i soldati inviati a raccogliere le elevatissime tasse. Il protagonista, a seguito di una serie di eventi, si troverà a dover ricoprire per necessità il ruolo di giustiziere, mentre viene sotteso nel corso dell’episodio che il personaggio ha una missione divina da compiere e della quale non è ancora a conoscenza. Escludendo la quantità di sangue, morte e distruzione che permea ogni minuto del pilot, in realtà si ha l’impressione di osservare un telefilm fantasy medievale che vuole aspirare ai fasti di Game of Thrones pur essendo imperniato su fatti storici, e finisce invece per assomigliare ad una puntata filler di Xena: Warrior Princess, che io amo senza riserve essendo comunque ben consapevole delle limitazioni, legate sia a costrizioni del budget sia del contesto temporale nel quale andò in onda (metà degli anni Novanta fino al 2001). Ecco, questi limiti non dovrebbero essere presenti in un lavoro tanto atteso, in particolare se il regista è abilissimo a creare personaggi indimenticabili, dote che in questo primo episodio è fortemente tenuta a freno e la piattezza dei protagonisti contribuisce a rendere ancora più evidenti mancanze di tipo strutturale e stilistico (qualcuno impedisca a Kurt Sutter di usare gli effetti speciali, per favore!). In attesa di un fisiologico miglioramento in stile Breaking Bad, possiamo solo essere felici del riconoscimento agli Emmy dell’ultimo episodio di Sons of Anarchy, approvazione postuma ma decisamente gradita.
Mini-serie primaverile passata in sordina e quasi snobbata dalla sottoscritta per motivi che ora mi sembrano incomprensibili, questa produzione inglese trasporta facilmente lo spettatore all’interno delle vicende grazie sia alla bravura dei due protagonisti sia ad una trama decisamente accattivante e particolare. Tratto dall’omonimo romanzo di Susanna Clarke, l’intreccio si concentra sulle due figure di Jonathan Strange e Gilbert Norrell, due maghi inglesi che intendono restaurare un tipo di magia “rispettabile” in Gran Bretagna, scomparsa da 300 anni dopo la morte del Re Corvo, uno dei praticanti magici più potenti mai vissuti. Sebbene inizialmente le idee dei due uomini corrano parallele, ben presto Mr Strange si renderà conto che la magia non può essere restrittiva e piena di limiti come propone invece Mr Norrell e principierà ad allontanarsi da quest’ultimo. Nel frattempo, a seguito di un incantesimo avventato del pavido Mr Norrell, viene convocato un essere leggendario chiamato Il Gentiluomo il quale, per adempiere ad una richiesta formulata dal mago,richiede un prezzo molto elevato, ossia metà della restante forza vitale di Lady Pole, afflitta da una grave malattia e prossima al decesso. Da questo momento prendono avvio una serie di avvenimenti fantastici che nulla hanno da invidiare al miglior capitolo della saga potteriana, sino a giungere ad un finale piuttosto anti-climatico ma risolutivo. Assolutamente da vedere, possibilmente tutta d’un fiato.
Produzione fantascientifica cicciata fuori lo scorso giugno ottenendo poco seguito e clamore eppure assicurandosi un rinnovo, narra le vicende di un gruppo formato da sei individui i quali apparentemente hanno perduto qualsiasi ricordo sia di loro stessi sia del motivo per cui si sono risvegliati all’interno di un’astronave. Tratta da una serie a fumetti (e di una casa editrice come la Dark Horse la sottoscritta tende a fidarsi a priori), l’adattamento televisivo sembra invero una brutta copia di Star Trek, con l’intenzione di travestirsi da Battlestar Galactica e risultando solamente un noioso inanellarsi continuo di stereotipi sci-fi dei quali si può tranquillamente fare a meno. Da seguire solo per Zoie Palmer e se si è patiti del genere fantascienza, nonchè di navicelle spaziali e tutine attillate di polipropilene.
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