Film

RoboCop

C’era una volta (nel 1987) un Robot poliziotto costruito parzialmente con tessuti biologici del defunto agente di polizia Alex Murphy. C’era un’altra volta (nel 2014) un agente di polizia di nome Alex Murphy che, gravemente ferito, viene inscatolato in un corpo meccanico e ritorna in servizio. Si tratta quindi di due storie diverse. In genere non scrivo recensioni basandomi sui paragoni, qui ho dovuto farlo perchè ho amato il film del 1987.

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Come già ho avuto modo di ricordare nella recensione di Trascendence, la fantascienza propone costantemente diversi modi di relazionare l’uomo e la macchina. Robocop in questo caso fa parzialmente eccezione. A parte gli effetti speciali e il taglio di un film d’azione di tutto rispetto per una produzione del 2014. A parte una tutina ridisegnata per venire incontro al gusto attuale (tutina esageratamente simile a quella degli ultimi Batman). Al di là di tutto questo le problematiche, che di solito sono il punto di riflessione di questi film, riguardo al dualismo uomo-robot sono ridotte a zero. La questione centrale di RoboCop è se sia un essere da considerare come un uomo o come un prodotto. In questa nuova versione del film, questo quesito opprimente, viene tenuto ossessivamente in piedi quando in effetti non esiste. Nel 2014 Alex Murphy (in un corpo meccanico) è un agente di polizia, marito e padre. Punto. Anche se di lui sono rimasti solo il cervello, i polmoni, il bel visino e la mano destra; anche se deve ricaricarsi nella base dov’è stato progettato il suo corpo; anche se può essere spento o disattivato. Perché? Perché un individuo obbligato a vivere attraverso un macchinario non diventa proprietà di chi quel macchinario l’ha progettato o costruito: rimane un individuo. Epic fail per il RoboCop fichetto ma senza contenuti. Mentre al RoboCop del 1987 voglio solo dire “Vivo o morto, tu verrai con me!”

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